L'itinerario si snoda in aree di grande interesse per tradizioni storiche e per particolari valori territoriali che meritano un'adeguata valorizzazione culturale, anche in considerazione del fatto che la Toscana offre enormi ricchezze distribuite in modo capillare ma talora poco conosciute. La crescita del mercato turistico e del tempo libero, congiuntamente all'aspirazione a forme più 'raffinate' di turismo, forniscono poi ulteriori stimoli alla maturazione di proposte come quella presente, volta a prospettare nuovi itinerari e ad alleggerire i flussi più consolidati, inserendo un vasto patrimonio di valori paesaggistici e culturali in trame territoriali significative. E questo anche nell'ottica di uno sviluppo sostenibile capace di coniugare moderne forme di fruibilità con la crescita di autentiche vocazioni e specificità locali.
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I nodi di questo itinerario sono costituiti da tre abbazie, molto diverse l'una dall'altra, sia per l'appartenenza a congregazioni sviluppatesi in tempi diversi dal ceppo originario, sia per storia, architettura e funzioni. Tutte e tre sono esempi particolarmente rilevanti della potenza e del ruolo svolto dalle abbazie nella passata organizzazione del territorio, aspetto questo che oggi sfugge pressoché totalmente alla percezione comune, incentrata su una visione decontestualizzata e focalizzata su una valutazione esclusivamente religiosa, che corrisponde a una dimensione assai riduttiva della situazione reale. Sant'Antimo, affidata oggi a monaci benedettini premonstratensi, è l'abbazia più antica - le sue origini risalgono infatti a Carlo Magno - ed ha una storia importante alle spalle, legata al ruolo svolto nel Medioevo nell'organizzazione territoriale del Senese, di cui ha rappresentato uno dei grandi feudatari ecclesiastici. Nel tempo le sue prerogative funzionali sono venute meno, ma resta assai suggestiva per l'originalità dei caratteri architetturali, per i riti celebrati con i canti gregoriani e per il contesto paesaggistico in cui è collocata.

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L'abbazia di San Galgano è sorta più di recente, tra la fine del XII e i primi del XIII secolo, e rappresenta un esempio fra i più significativi di architettura gotica di impronta francese in Italia. Da lungo tempo abbandonata, ha subito opere di consolidamento soltanto della struttura esterna: priva com'è del soffitto e della pavimentazione, offre tutto il fascino della rovina e della leggenda che aleggia intorno alla spada nella roccia e al santo cavaliere.
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La terza abbazia, quella di Monte Oliveto Maggiore, dei Benedettini Olivetani, è invece ancora oggi in piena attività, con una grande e preziosa biblioteca, un noto laboratorio di restauro di libri antichi, opere d'arte molto ben conservate come i cicli di affreschi del Sodoma e di Luca Signorelli e una struttura organizzativa in grado di sostenere anche flussi turistici di discreta intensità.
Il collegamento fra le tre abbazie permette di costruire un itinerario ricco e articolato, in cui i motivi religiosi si intrecciano strettamente con quelli di interesse ambientale, storico, artistico. Si passa dal paesaggio delle colline plioceniche delle Crete a quello dei rilievi anti-appenninici delle Colline Metallifere e della montagna amiatina, in un ambiente carico di storia, che offre quindi lo spunto per approfondimenti tematici quali il ruolo svolto dai Benedettini nell'organizzazione del territorio o la toponomastica legata alla viabilità. E' un'occasione per percorrere tratti della Via Francigena, sulle orme dei pellegrini, per visitare borghi medievali e cittadine rinascimentali, per capire quanto delle politiche territoriali dei secoli passati sia rimasto impresso nel paesaggio attuale, ma anche per apprezzare momenti di puro svago come i bagni termali caldi conosciuti e frequentati da secoli.

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L'ABBAZIA DI S. GALGANO
Uscendo da Siena verso sud lungo la statale n.73, si giunge, dopo circa una trentina di km, al Bivio del Madonnino, così detto per la presenza di una cappella dedicata alla Vergine: poco dopo, superata una rampa da cui si gode uno splendido panorama sulle verdi colline circostanti, si è in vista dell'abbazia di S. Galgano, che si raggiunge dopo una breve deviazione sulla sinistra. E' questo uno dei principali monumenti, insieme a Fossanova in provincia di Latina, dell'architettura gotico-cistercense in Italia.

L'arte e la storia dell'abbazia

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Il nucleo originale del grande complesso abbaziale nella valle del Fiume Merse è rappresentato da una cappella rotonda romanica e da un piccolo monastero, edificatiper volere del vescovo di Volterra verso il 1185, sulla collina di Monte Siepi, laddove la leggenda narra che il cavaliere Galgano Guidotti di Chiusdino fosse vissuto da eremita. La cappella sorse dunque come custodia della tomba del Santo e della preziosa testimonianza della spada conficcata nella pietra. Aggiunte posteriori mascherano parzialmente la struttura primitiva del mausoleo, tipologicamente molto vicina all'architettura funeraria etrusca e romana, ma lo arricchiscono di importanti elementi, quali il ciclo di affreschi, ancora suggestivi nonostante il cattivo stato di conservazione, dipinti da Ambrogio Lorenzetti e allievi.
La costruzione della grande abbazia che sorge ai piedi della collina fu intrapresa nel 1227 da parte dei monaci cistercensi, che già pochi anni dopo la morte di San Galgano si erano insediati sulla collina, raccogliendo l'eredità di alcuni eremiti seguaci diretti del santo. Il modello seguito fu quello dell'abbazia di Casamari nel Lazio, che a sua volta presenta una aderenza particolarmente accentuata, rispetto ad altri esempi italiani, allo stile gotico che si era diffuso nei vari paesi europei a partire dalla Francia settentrionale. Tale stile trovò negli ordini monastici uno strumento importante di penetrazione e in particolare nei benedettini riformati di Cîteaux (Cistercium), cioè i cistercensi.Quest'ultimi, anche per motivi relativi alla loro regola, promossero forme molto semplici e severe, differenti da quelle ricche e "fiorite" delle cattedrali maggiori.
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Orientata, secondo le regole liturgiche, con l'abside a est e la facciata a ovest, ha la forma di croce latina con tre navate.
La chiesa di San Galgano è diruta ma quanto è rimasto permette di immaginarne le volte e l'effetto conseguente allo stesso tempo
"fortemente plastico e animatamente dinamico", come scrive Roberto Salvini. I motivi costruttivi richiamano da vicino quelli delle altre chiese cistercensi, quali gli archi a doppia ghiera, le membrature a sostenere le volte che si interrompono prima di giungere a terra, i pilastri a forma di croce, la doppia cornice sopra le arcate. Tuttavia le proporzioni sono più massicce e i risalti dei pilastri più forti, così come maggiormente rilevata è la ghiera esterna delle arcate. Pertanto "i fasci delle linee energetiche dovevano trascinare nel movimento masse più robuste e più profondamente chiaroscurate, raggiungendo effetti di maggiore possanza".
Quello che si osserva oggi è quanto resta del più suggestivo e caratteristico edificio gotico-cistercense in Italia, dopo l'abbazia di Fossanova, a manifestazione della potenza raggiunta dall'Ordine dei cistercensi che, grazie ad una ampia serie di privilegi e donazioni imperiali, papali e vescovili, soppiantarono le abbazie benedettine dei dintorni, incorporandone progressivamente i beni.
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A partire dall'acquisto effettuato dal Vescovo di Volterra presso la Comunità di Monticiano dei terreni di Monte Cerboli (o Monte Siepi), e del piano circostante, fra i fiumi Merse e i torrenti Gallessa e Righineto, le proprietà abbaziali crebbero progressivamente dalla fine del 1100 alla prima metà del Trecento, come mostrano i Kaleffi conservati all'Archivio di Stato di Siena, rendendo l'abbazia padrona di buona parte della regione circostante e di altre parti del territorio senese e grossetano. In qualità di notai, giudici, medici e architetti, i monaci svolsero importanti incarichi per la repubblica senese. Ma col tempo ripetute incursioni di truppe mercenarie, fra le quali particolarmente devastante fu quella condotta dall'inglese Giovanni Acuto, e lo sfruttamento delle rendite attraverso la pratica della commenda condussero l'abbazia nell'arco di pochi secoli a un forte decadimento. A metà Cinquecento pochi monaci ormai risiedevano presso l'abbazia che, già in rovina, ebbe un primo restauro di lì a pochi anni, ma i danni continuarono. Nel Settecento si aprirono grandi fenditure nella struttura muraria, poi crollarono completamente le volte e il campanile.
L'indubbio fascino di San Galgano risiede nella solennità grandiosa dell' interno, dove si rivela tutta l'imponenza della struttura muraria delle pareti, nel contrasto fra il pavimento erboso e il cielo, come giustamente avevano intuito gli incaricati del restauro nell'Ottocento, i quali, limitandosi a consolidare l'esistente, senza ricostruire niente di ciò che era caduto, accentuarono in tal modo il gusto romantico della rovina, che trova qui uno dei suoi principali archetipi.
La leggenda di San Galgano
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Nonostante il decadimento dell'abbazia già nel XV secolo, il culto del santo è rimasto vivo a lungo. La vera natura di tale culto non è però sufficientemente conosciuta e con probabilità non potrà esserlo mai, come nota Franco Cardini, mettendo in dubbio la possibilità di ricostruire correttamente quanto in tale tradizione agiografica sia di origine locale e quanto dovuto all'influsso cistercense. Tuttavia, nonostante i tempi stretti e per così dire, 'risicati', fra la cronologia della vita del santo e quella della nascita e diffusione del ciclo arturiano, le suggestioni del ciclo cavalleresco sono più che evidenti : "l'enigmatica spada infitta nella roccia è un troppo forte richiamo simbolico, leggendario…… e ci si sorprende …. a domandarci che cosa ci sia dietro a quest'affiorare …. di un simbolo che rinvia con tanto profondo e affascinante potere evocativo all'inquietante mondo celtico, al ciclo di Artù".

D'altra parte uno scritto di Buoncompagno da Signa risalente agli ultimi anni del XII secolo afferma che in Toscana vari gruppi di giovani costituirono delle compagnie, una delle quali ispirate alla Tavola Rotonda. Le suggestioni arturiane sono dunque più che evidenti nella leggenda di S. Galgano, il cavaliere che abbandona la vita militare per fare l'eremita e conficca la spada nella roccia. E appare "tanto apparentemente strano quanto sostanzialmente significativo", sottolinea ancora il Cardini che "la sola <<Spada nella Roccia>> effettivamente visibile e conservata sia lontana da Camaalot e da Glastonbury, e la si possa venerare sotto gli azzurri cieli toscani anziché sotto i brumosi cieli celtici; così come è strano ma al tempo stesso significativo che quell'angolo fuorimano di Val di Merse posto fra Siena, Grosseto, Massa Marittima e Volterra conservi ancora le rovine d'un'abbazia che, nelle sue pure forme gotiche, fa sì che l'intero paesaggio respiri una strana atmosfera, che lo fa somigliare più a una campagna dell'Inghilterra o della Francia settentrionale che non a un pezzo di Toscana".

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L'ambiente e il territorio dell'abbazia

Il complesso abbaziale è ubicato in un tratto di campagna senese ancora relativamente poco conosciuto e valorizzato, alle pendici sud orientali delle Colline Metallifere, un insieme abbastanza eterogeneo di rilievi attorno al nodo montuoso delle Cornate (1059 m). Posto nel fondovalle del tratto superiore del fiume Merse, affluente dell'Ombrone, si trova a breve distanza dalla via che raggiunge Massa Marittima (Via Massetana SS 441), dopo essersi staccata dalla Maremmana da Siena per Grosseto (SS 73) in prossimità del Bivio del Madonnino. Siamo nel cuore della cosiddetta Etruria mineraria, quella parte del territorio etrusco ricca di risorse minerali di vario genere, in cui per secoli furono intensamente praticate le attività estrattive e metallurgiche, delle quali ancora oggi è possibile trovare tracce e vestigia. Attorno a San Galgano numerosi e fitti boschi submediterranei esercitano un sicuro motivo di attrazione, ma preme sottolineare anche la presenza sparsa di esemplari di vecchi faggi a quote modeste, comprese fra i 300 e i 400 m, a testimoniare la presenza residuale di antiche faggete impiantatesi in condizioni climatiche diverse da quelle attuali.
Il territorio è costellato di piccoli borghi medievali quali Monticiano, Chiusdino, Montieri e percorso da strade antiche che si snodano sinuose sui fianchi delle colline, seguendo le ondulazioni dei crinali. Oggi il fascino di S. Galgano è legato al gusto delle grandiose rovine di stile gotico francese, alla leggenda del santo cavaliere e alla spada nella roccia, vivificate ulteriormente dal recente revival di film storici, ma l'immaginario comune ignora del tutto il significato e l'importanza dell'abbazia nell'organizzazione territoriale. San Galgano nel XIII e XIV secolo fu invece una grande potenza economica e un "interlocutore autorevole del Comune di Siena".
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L'atto costitutivo dell'abbazia risale al 1201. Sorta per sostituire la comunità di eremiti che era nata attorno a Galgano Guidotti, ne incamerò i possedimenti e fu affidata dal Vescovo di Volterra Ildebrando Pannocchieschi ai cistercensi, che considerava elemento di sicurezza e di "stabilità" in un territorio sottoposto al controllo di potenti famiglie rivali.
Ben presto l'abbazia stabilì un legame forte con il comune senese, mettendo a disposizione specialisti altamente qualificati nel settore economico, finanziario, edilizio, idraulico, quali erano i monaci cistercensi, che ricoprirono cariche importanti nella gestione delle finanze comunali, nella realizzazione di ingegnose opere idrauliche, nella costruzione del Duomo, ecc. Altre ne assolsero in proprio, quali quelle di notaio e di medico (presso l'abbazia funzionava un ospedale con reparti separati per laici e religiosi).

Dopo poco più di un secolo, nel primo ventennio del '300, sono documentati possedimenti fondiari per circa 5000 ha, quasi la metà dei quali in piena proprietà, per la massima parte concentrati in una grande tenuta in Maremma, e gli altri in comproprietà. Il nucleo principale era tutt'attorno all'abbazia, rappresentato dai terreni e dagli immobili posti nella corte di Frosini, una sorta di latifondo di quasi 2400 ha; altri si distribuivano lungo la Via Francigena e presso centri di mercato come Asciano e San Gimignano e cioè a Scialenga in Val d'Orcia, in Val d'Elsa, a Massa Marittima e località limitrofe, nell'alta e bassa Val di Merse, come si evince da un catasto particellare allestito da Siena negli anni 1316-20 (Tavola delle Possessioni), dal coevo Kaleffo di Siena e dal Libro dei Privilegi di San Galgano (1308).
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Tale documentazione mostra una distribuzione del mantello boschivo un po' diversa da quella attuale e forse anche meno estesa, data la prevalenza di "terra lavorativa" a grano, mentre la vite era diffusa sulle sommità collinari e attorno alle case. Di notevole consitenza risultano pure le operazioni di diboscamento e di bonifica di aree paludose, come quelle alla confluenza dei torrenti Cona e Feccia.

Il patrimonio fondiario di San Galgano era gestito in aziende agrarie di notevoli dimensioni condotte direttamente da gruppi di conversi (grancia), ma col tempo la conduzione diretta fu progressivamente sostituita da quella indiretta tramite contratti di affitto che in pratica anticipano quelli di tipo mezzadrile. Il patrimonio agrario della corte di Frosini ad esempio era suddiviso per la maggior parte in aziende grandi, oltre i 30 ha, con lavorativi nudi destinati a frumento, terre sode, vitate, boscate e in piccola parte prative, dotate di edifici abitativi, di annessi, di spazi delimitati da cinte murarie, mulini.

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I dintorni dell'abbazia


L'abbazia di San Galgano si raggiunge da Siena con la SS 73, percorrendo il versante occidentale della Montagnola Senese e delle Colline Metallifere, in una regione relativamente ancora poco 'battuta' dal turismo escursionistico, ma assai attraente sia per le bellezze naturali, quali i boschi delle Cornate di Gerfalco, del Poggio Montieri e di Poggio Mutti, sia per i borghi medievali come Chiusdino, sia per i resti delle antiche attività estrattive e della lavorazione dei metalli, numerose soprattutto nei dintorni di Montieri, sia per l'intero insieme dei caratteri naturali e umani della Val di Farma e della Val di Merse.

Servizi


I posti letto nei dintorni dell'abbazia di San Galgano sono piuttosto scarsi. Le località più vicine come Chiusdino e Monticiano sono in grado di offrire complessivamente solo 150 posti letto, in strutture a due e tre stelle, anche se non mancano alberghi di categoria superiore. Il numero è notevolmente incrementato dagli alberghi di Murlo e Sovicille (300 posti letto circa), ma la forma di ospitalità più diffusa è rappresentata da numerose aziende agrituristiche, che in questi ultimi anni hanno saputo valorizzare una naturale vocazione di questa regione, coniugando l'attività agricola con un turismo sostenibile.

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L'ABBAZIA DI S. ANTIMO

L'edificio si trova in posizione isolata sulla strada che da Montalcino raggiunge Castelnuovo dell'Abate e la stazione di Monte Amiata, nella solitaria Valle Starcia, a 9 Km da Castelnuovo.
Si tratta di una importante testimonianza dell'antica organizzazione feudale del territorio senese e di uno dei più suggestivi monumenti dell'arte romanica in Italia, costruita nel XII secolo su una chiesa preesistente, che la tradizione afferma sia stata fondata da Carlo Magno
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L'arte e la storia dell'abbazia
L'Abbazia di Sant'Antimo, in una "solitaria e angusta vallecola", come la definiva Antonio Canestrelli, è una delle grandi abbazie regie, fondate dai Carolingi, alla fine dell' VIII secolo-primi IX. Del primitivo monastero resta ben poco, mentre le forme attuali della grande chiesa risalgono al XII secolo.
Anche se mancano documenti anteriori all'814, la fondazione da parte di Carlo Magno su terreni statali, affidata agli abati Tao e Tanimondo dell'ordine benedettino, è stata giudicata storicamente attendibile. Documenti certi, ascrivibili agli eredi diretti di Carlo Magno, ne danno precisa affermazione. Si tratta dunque di una potente e ricca abbazia regia, "strumento fedele del potere centrale" - di qui l'attribuzione del titolo di conte palatino all'abate - la cui origine è attestata da alcuni diplomi imperiali, quali quelli concessi da Ludovico il Pio nell'814, da Berengario e Adalberto nel 951, da Enrico III nel 1051.

Dal documento più antico si evince che a Sant'Antimo furono assegnate le funzioni già esercitate da un piccolo e vicino monastero di origine longobarda, S. Donato all'Asso.
La sua nascita, così come quella dell'Abbazia di San Salvatore al Monte Amiata, fu determinata, oltre che da motivi religiosi, dalla volontà di favorire la messa a coltura di ampi territori affidandoli ai benedettini, la cui regola fondamentale era la preghiera e il lavoro. Ma vi incisero profondamente anche le esigenze di controllo sul territorio statale alla frontiera con lo Stato della Chiesa e sulla direttrice viaria che con il regno franco si consolida come percorso di grande comunicazione verso Roma, assumendo il nome di Francigena. Una nutrita serie di assegnazioni permise all'abbazia di giungere direttamente a contatto con la strada.
La tradizione vuole che il pontefice Adriano I donasse l'intero corpo di Sant'Antimo a Carlo Magno e che questi edificasse un monastero. Della costruzione originaria resta ben poca cosa. La chiesa primitiva tuttavia è ancora ben riconoscibile nell'attuale Sacrestia absidata e nella sottostante cripta.
Dai documenti imperiali prima citati emergono significativi privilegi, favori, immunità ed esenzioni, quali quella delle decime, quella della libertà di elezione dell'abate e dunque l'autonomia dal vescovo di Chiusi, nella cui diocesi era ubicata l'abbazia, la giurisdizione e la proprietà su ampie porzioni del territorio statale via via accresciute, con corti, mansi, chiese e relative pertinenze, che in pratica permettono di dominare un territorio assai vasto - anche se non continuo - fra i fiumi Orcia, Asso e Ombrone, la strada grossetana via Montalcino, fino al contatto con la Via Francigena da un lato e col litorale maremmano dall'altro, avendo ottenuto parte dello stagno e del padule di Castiglione della Pescaia.
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Tenuto conto di questi possedimenti, e in primo luogo della signoria sul castello di Montalcino che attribuiva all'abate potere su castelli, monasteri, terre coltivate e incolte, beni mobili e immobili, popoli, corti, case, servi, guardie, campi, vigne, prati, pascoli, selve, acque, oliveti, canneti, mulini, come si legge nei documenti, è evidente il ruolo dell'Abbazia non solo come centro di funzioni religiose ma anche di politica economica e soprattutto di controllo sulle comunicazioni; l'importanza del territorio montalcinese per le direttrici che collegavano la Maremma, l'Amiata, la Val di Chiana attraverso la Val d'Asso è evidente, per non parlare del crescente ruolo assunto dalla Francigena.
Il territorio di pertinenza dell'Abbazia, incrementato con lasciti e donazioni private, non era compatto. Tuttavia la notevole consistenza della donazione testamentaria effettuata dal conte Bernardo, probabilmente della famiglia degli Ardengheschi, resa pubblica facendone incidere il testo e l'elenco delle proprietà rispettivamente sui gradini e sui pilastri in data 1118, permise una discreta ricomposizione, tanto che i monaci richiesero all'imperatore Enrico V il Salico la conferma della proprietà.

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Spesso le donazioni di privati, soprattutto se ingenti, avevano lo scopo di proteggere il patrimonio dal fisco, ottenendo nel contempo l'autorità sul monastero. Quella del conte Bernardo fu realmente eccezionale e fornì la "base economica" per la costruzione del grandioso edificio cluniacense nelle forme attuali, iniziata con probabilità poco dopo il 1117 come sostiene Wilhelm Kurze.
Ma la costruzione della nuova chiesa, se pure testimonia il ruolo di crocevia religioso, politico e culturale dell'abbazia, contribuì anche a dissanguare le finanze dell'istituto - tanto più che le rimostranze del fratello del donatore dovettero essere tacitate a caro prezzo - e già nel 1163 numerose sono le lamentele per la precaria situazione economica venuta a verificarsi.
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Furono dunque i grandiosi lavori della nuova chiesa a indebolire la congregazione e a contribuire alla crisi dell'abbazia. Nell'arco di pochi secoli le mutate condizioni politiche porteranno alla progressiva riduzione dei beni e a creare una profonda e incolmabile cesura fra l'abbazia come simbolo religioso e le dinamiche dell'organizzazione territoriale.
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L' Abbazia benedettina di S. Antimo rappresenta, nelle forme attuali, uno degli esempi di maggior pregio dell' architettura monastica romanica del '200, con una notevole presenza di elementi stilistici lombardi, ad esempio nel campanile quadrato, e d'oltralpe, quest'ultimi legati in particolare alla famosa abbazia borgognona di Cluny. Così nell'impianto basilicale, nel forte slancio verticale della navata centrale, nel deambulatorio con cappelle radiali che, snodandosi attorno al prespiterio, raccorda fra loro le navate laterali. Certamente la Via Francigena fu uno strumento di diffusione della koinè culturale europea dei secoli dall'XI al XIII, come scrive Renato Stopani, e "le principali correnti artistiche del periodo romanico tesero a diffondersi, veicolate....dalle vie di pellegrinaggio". Del resto l'abate Guidone pare chiamasse proprio da Cluny i progettisti della nuova chiesa, di impianto basilicale, lunga poco più di 42 metri, a tre navate, di cui colpisce il forte slancio verticale di quella centrale e la presenza del deambulatorio con cappelle radiali, caratteristica comune alle più importanti chiese meta di pellegrinaggi, per facilitare il percorso delle processioni e la visita alle reliquie.
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Pure la qualità e la ricchezza delle decorazioni plastiche richiamano modelli d'oltralpe e in particolare dell'Alvernia, come a suo tempo aveva osservato Roberto Salvini. L'eccezionalità di questo monumento, la sua "grandiosità" e "complessa ricchezza culturale" non hanno tuttavia avuto particolari ripercussioni sull'architettura romanica della Toscana meridionale, forse "per il troppo divario con le costruzioni romaniche di questa parte della regione", come sigla Italo Moretti.
La chiesa attuale, perfettamente orientata con la facciata a ovest e l'abside a est, risale al XII secolo. I paramenti, sia all'interno che all'esterno, sono di travertino, mentre la decorazione architettonica, realizzata con l'onice delle vicine cave di Castelnuovo, fa assumere singolari lucentezze, riflessi e trasparenze.

La facciata è molto semplice, con un coronamento ad archetti, l'impronta di quattro ampie arcate cieche e di un protiro che incornicia un ricco portale romanico. Sull'architrave il nome di uno dei progettisti, il monaco Azzone dei Porcari.
Si richiama l'attenzione sull'abside semicircolare, con piccole absidi radiali, su un interessante portale del IX secolo sul fianco sinistro e su due interessanti bassorilievi di toro alato con testa femminile e una Madonna col Bambino sul lato orientale.
Interessanti i capitelli, alcuni dei quali in onice. Quello della seconda colonna a destra, entrando nella chiesa, colpisce per l'incisività della rappresentazione di Daniele nella fossa dei leoni ed è stato attribuito al noto Maestro di Cabestany.

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Anche quello che rappresenta delle "figure umane accucciate in posizione scimmiesca agli angoli avvolte tra tralci elegantemente annodati" ha suscitato l'interesse degli studiosi, che vi hanno riconosciuto un soggetto molto diffuso nell'opera di maestri di origine iberica o pirenaica nei primi decenni del XII secolo lungo le principali mete di pellegrinaggio connesse all'itinerario per Santiago di Compostella.
Le forme attuali dell'abbazia sono il prodotto di un lungo restauro iniziato nel XIX secolo.

L'ambiente e il territorio dell'abbazia

L' imponente abbazia è ubicata tra l' Orcia e la Via Francigena lungo una antica strada di collegamento con la valle dell'Ombrone e Roselle, su un ripiano presso il Fosso Starcia, affluente dell'Orcia, contornato da colline arenacee dalle forme piuttosto decise nonostante la loro modesta altitudine: il Poggio Castellare, a nord, con i ruderi di un antico castello dell'Abbazia, a ovest quello dell'Arna, a sud quello su cui sorge Castelnuovo dell'Abate, mentre la parte orientale è occupata da basse colline sabbiose. Siamo nella fascia di contatto fra l'Antiappennino e le colline plioceniche, vicino al margine meridionale delle Crete e a nord del Monte Amiata.

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Il paesaggio collinare è di grande suggestione e la notevole abbondanza di boschi è una delle attrattive della regione. Lembi di macchia mediterranea si alternano a boschi di leccio, boschi e boscaglie di roverella e boschi misti di varie altre latifoglie come carpini, ornello, sorbo. I boschi di leccio sono scuri, densi e ombrosi, con scarso sottobosco. I querceti di roverella, spesso mescolati al cerro di colore più scuro, danno al paesaggio un'impronta particolare dal momento che d'inverno le foglie della roverella, disseccate, non cadono, creando suggestivi giochi di colore.
Gli ampi tratti boschivi si alternano oggi a vigneti ben curati: Sant'Antimo appartiene oggi a un territorio la cui 'immagine di marca' è rappresentata principalmente dalla specialità del vino di Montalcino, in una campagna assai ben tenuta, per così dire 'agghindata', in cui monocoltura ad alto reddito e un turismo verde qualificato si integrano in una felice combinazione, grazie anche ai richiami della storia, in particolare quella medievale, che assume toni evocativi a volte mitografici ma indubbiamente suggestivi. I caratteri esteriori del paesaggio montalcinese rivestono oggi una funzione ornamentale coscientemente gestita, nella quale l'abbazia recita un ruolo importante, ma di carattere prevalentemente 'decorativo' e di contorno rispetto alle funzioni attuali, anche se carico di suggestione.
In passato, al contrario, la dominante territoriale era costituita dall'abbazia e Montalcino era il suo castello, tangibile manifestazione del potere temporale esercitato. Oggi la principale fonte di attrazione e di riferimento è Montalcino e l'abbazia il suo satellite, in un alternarsi di valori che è una costante dell' evoluzione territoriale.
Nel contesto odierno, l'edificio abbaziale, che senza retorica può essere definito maestoso, colpisce per una sorta di isolamento, configurandosi come un unicum del quale non si capisce a prima vista il ruolo, sproporzionato rispetto all'insediamento circostante, ubicato su un piccolo lembo pianeggiante circondato da rilievi collinari.
Essa colpisce dunque per la sua oggettiva bellezza, ma anche per l'effetto di cattedrale nel deserto, svincolata da quanto la circonda e relativamente lontana da strade importanti tanto da rendere difficile immaginare come, in passato, avesse potuto costituire un centro di potere religioso, politico ed economico notevole, che dominava su un vasto territorio.
La scarsa documentazione pervenuta non consente di delineare in modo esauriente
il quadro delle pertinenze territoriali, l'evoluzione dei sistemi di conduzione e dell'uso del suolo sul territorio dell'Abbazia. Questi tuttavia erano imperniati sul sistema curtense, come si evince dalle corti e dai mansi registrati fra i suoi possedimenti. Ad esempio Ludovico il Pio concesse, fra gli altri beni, una corte e relative pertinenze vicina a S. Maria in Matrichese, donata anch'essa all'abbazia, metà di una corte presso Castiglione della Pescaia; altre ne concesse Berengario II, quali quelle di Andrina e di Valle Fabrica. Nel X secolo Sant'Antimo aveva giurisdizione su un migliaio di mansi, dimensione che la qualifica fra le abbazie più ricche sul territorio italiano. Tale numero si ricava dal regalo di nozze fatto nel 938 da Lotario II ad Adelaide: 1000 mansi sul patrimonio di Sant'Antimo, dote che tuttavia non era destinata a uscire dal convento.
I dintorni dell'abbazia

Da Sant'Antimo si può raggiungere il piccolo paese Monte Amiata, sede di stazione ferroviaria, e di qui Castiglion d'Orcia, dominato da Rocca d'Orcia. Con una strada sterrata che lambisce le pendici del Poggio Montitoio si raggiunge una proprietà demaniale che comprende l'interessante biotopo costituito dalla Macchia di Scarceta e Montelaccio. Nel Comune di Castiglion d'Orcia, ubicato a quasi 600 m d'altezza, dominato dai resti della Rocca degli Aldobrandeschi, da cui si godono ampi panorami sul Monte Amiata e sulla Val d'Orcia, si trova un altro interessante biotopo, l'Abetina Del Vivo, subito a sud di Vivo d'Orcia, in prossimità de L'Eremo.

Da Montalcino ci si può dirigere alla SS 2 Cassia, che in questo tratto corrisponde alla Francigena, raggiungere San Quirico d'Orcia e da qui scendere pochi chilometri verso sud a Bagno Vignoni, con la monumentale vasca termale del XIV secolo, già frequentata da Lorenzo il Magnifico e fare una piacevole immersione, oppure prendere la strada per la Val di Chiana e fermarsi a Pienza e quindi proseguire per Monticchiello. Di particolare interesse anche una escursione al Monte Amiata, a Santa Fiora, all'Abbazia di San Salvatore nel paese omonimo e a Radicofani.
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Servizi


S. Antimo è raggiungibile con i mezzi pubblici da Siena, via Montalcino, anche se le corse non sono molto numerose e ovviamente i mezzi privati rappresentano la soluzione migliore per visitare anche i dintorni.
Quanto alla ricettività alberghiera, il maggior numero di posti letto, prevalentemente in hotel a tre stelle, si trova a Montalcino, ma pure San Quirico d'Orcia ormai è discretamente attrezzato (per complessivi 250 posti letto circa in hotel a tre stelle). Preme inoltre sottolineare il forte sviluppo delle strutture agrituristiche, disseminate in gran numero in tutta la zona considerata, che offrono una ospitalità piacevole e qualificata.

L'ABBAZIA DI MONTE OLIVETO MAGGIORE

Il monastero, isolato in mezzo a una selva di cipressi secolari, su un'altura che domina lo scabro paesaggio delle Crete, dista solo 33 Km da Siena. Si tratta di un grandioso complesso, fondato nel 1313 da Giovanni Tolomei, che assunse il nome di Bernardo in onore del santo abate di Clairvaux, Patrizio Patrizi e Ambrogio Piccolomini, decisi ad abbandonare ogni agio per ritirarsi a vita monastica nel "deserto di Accona".

La comunità fu inserita nella Regola benedettina nel 1319. Nel 1320 iniziò la costruzione del monastero e nel 1344 la Congregazione Olivetana ricevette la conferma da Clemente VI.
Il monastero assunse il nome di Monte Oliveto Maggiore per distinguere il proprio ruolo di casa madre dagli omonimi cenobi di Firenze, San Gimignano e Napoli.
L'Ordine Olivetano ha privilegiato - rispetto alle altre congregazioni benedettine - l'applicazione a discipline intellettuali ed artistiche, conseguendo particolari meriti nel campo degli studi, della scienza e dell'arte.

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Di recente, la creazione di un Istituto di Patologia del Libro, che ha raggiunto una grande notorietà, ha riattivato un'antica vocazione e monaci altamente qualificati si occupano del restauro e della rilegatura di pergamene e libri antichi. L'arte e la storia dell'abbazia
L'abbazia di Monte Oliveto - una sorta di piccola città della religione, dell'arte e del lavoro - si trova ubicata su una collina che domina il paesaggio delle Crete, a 8 km circa da Buonconvento, sulla via Cassia, l'antica Francigena.
Sorto il primo nucleo per volere di alcuni nobili senesi ritiratisi a vita eremitica ai primi del XIV secolo in un luogo così desolato da essere definito il "deserto di Accona", il grandioso complesso monastico dalla pianta irregolare e la chiesa furono edificati dalla congregazione olivetana della regola di S. Benedetto. Il monastero raggiunse grande sviluppo e fama tra il XV e il XVIII secolo. Gli olivetani, infatti, caratterizzarono la loro opera, oltre che naturalmente con la pratica religiosa, con una intensa attenzione alla cultura e all'arte imprimendo, in particolare, un forte impulso tra XV e XVI secolo alla tecnica artistica della tarsia in legno effettuata con il legno massello e non con sottili impiallacciature.
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I noti capolavori pittorici e plastici che vi sono ospitati, il famoso laboratorio di restauro di pergamene, carte antiche e legature, ne hanno diffuso la notorietà come centro artigianale e culturale di alto livello.

Architettonicamente il monastero è un complesso insieme di edifici costruiti tra il XIV e il XVIII secolo, articolati intorno a tre chiostri di differente dimensione: il Chiostro Grande, il Chiostro di Mezzo e il Chiostro Piccolo. Il lato settentrionale è in gran parte occupato dalla chiesa. L'ingresso è protetto da un palazzo medievale, munito di una massiccia torre quadrangolare, edificato alla fine del XIV secolo a difesa del monastero.

La navata della chiesa, rifatta nel XVIII secolo su un impianto gotico di cui restano tracce nella facciata e nel campanile, è ornata da un coro ligneo, opera d'intaglio e intarsio di fra' Giovanni da Verona, che fornisce prova evidente dell'abilità tecnica e artistica raggiunta dagli intarsiatori olivetani. Il Chiostro Grande, a pianta rettangolare, è edificato su due livelli (portico e loggia) e costituisce un eccellente esemplare di cortile quattrocentesco.

Il portico, protetto da vetrate, è ornato dai famosi affreschi che narrano la vita di S. Benedetto, opera di Luca Signorelli e del Sodoma. La parte più interna del Cenobio, distribuita intorno al Chiostro di Mezzo e al Chiostro Piccolo (anch'essi quattrocenteschi) è riservata alla clausura e non è visitabile dai turisti, ma conserva alcune opere di grande pregio tra cui il refettorio, un grande ambiente a volte decorato da affreschi di fra' Paolo Novelli (1670). La sala della biblioteca fu progettata invece da fra' Giovanni da Verona, così come la solenne basilica a tre navate su capitelli corinzi. Nell'attigua biblioteca monastica sono ospitati circa 40.000 volumi e opuscoli, codici pergamenacei e incunaboli, parte dei quali nel celebre laboratorio di restauro del libro antico dove lavorano i religiosi stessi e grazie al quale l'abbazia gode fama internazionale di centro di cultura artigianale e artistica. La farmacia infine raccoglie una importante collezione di vasi seicenteschi per medicamenti.
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Il convento e il bosco

Il primo nucleo del convento fu una piccolissima casa, forse usata per la caccia, che i Tolomei possedevano nel "deserto di Accona". Nel 1317 una bolla papale autorizzò i monaci a costruire nel bosco dodici celle con cappella e cimitero, che dovevano permettere una vita monastica assai dura e di tipo anacoretico. Non restano testimonianze di tale realizzazione in quel periodo: le cappelle attualmente presenti nel bosco sono di epoca più tarda, fra il XVI e il XVIII secolo. Solo quella dedicata a Santa Scolastica conserva un'abside di impianto romanico e si può supporre che essa coincida con la cappella costruita da Bernardo Tolomei.

Gli affreschi cinquecenteschi che la ornano, per quanto assai rovinati dall'umidità, mostrano una buona mano, ma non sono sicuramente attribuibili. Il complesso delle cappelle, nella sua strutturazione seicentesca, richiama altre strutture simili: i Sacri Monti, assai diffusi in quel periodo, che tendevano a riprodurre i luoghi della passione di Cristo ed a sostituirsi pertanto alla Terra Santa, occupata dai Turchi, come meta di pellegrinaggio. Le cappelle del Monte Oliveto non presentano però i luoghi della passione ma sono dedicate a vari Santi o alla Vergine. Davanti ad una di esse, dedicata alla "Vergine dell' Ornigo", sorge una colonna che ricorda il luogo in cui Carlo V si inginocchiò a baciare la croce quando, nel 1536, di ritorno a Roma, sostò nel
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monastero con una scorta di duemila uomini e mille cavalli: l'Abbazia era in quel periodo ampia e fiorente e poté ospitare l'Imperatore e il suo imponente seguito. Essa era fornita perfino di una peschiera, ancora ben conservata e visibile sotto la più antica via di accesso all'Abbazia, che assicurava ai monaci il cibo nei periodi in cui la Chiesa vietava l'uso della carne.
La parte centrale del complesso edificio, che vede prevalere i caratteri quattrocenteschi anche se la "Charta fundationis" risale al 1319, è costituita dalla chiesa, iniziata nel 1401 per sostituire il precedente piccolo oratorio, a cui è affiancato il campanile di forme sobriamente gotiche, che svetta con i suoi 47 metri d'altezza. Il monastero si sviluppa sul lato sud della chiesa, intorno ad un chiostro grande e a due chiostri minori, e si prolunga con due corpi aggettanti, verso sud e verso ovest. Una cortina muraria in mattoni lo chiude tutti intorno, senza peraltro produrre l'impressione dell'isolamento e della solitudine anche a causa delle numerose finestre di vario ordine e dei loggiati che ne alleggeriscono la struttura e sembrano aprire il monastero stesso al mondo e alla natura circostante.

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Il fabbricato conventuale intorno al grande chiostro fu compiuto intorno alla metà del Quattrocento e negli ultimi decenni del secolo il Sodoma e il Signorelli vi eseguirono i loro affreschi. La Biblioteca, divisa in tre navate da colonne, come quella michelozziana di San Marco a Firenze, fu eretta qualche anno più tardi, nel 1513. I suoi capitelli in pietra tufacea sono stati forse scolpiti con grande eleganza da Giovanni da Verona. Sono conservati in essa 20 corali miniati del primo Cinquecento oltre a moltissimi antichi libri e documenti.

L'ambiente e il territorio dell'abbazia


Il monastero sorge nella regione collinare ubicata fra l'Ombrone e il corso quasi parallelo dell'Asso, nel cuore delle Crete senesi (intese in senso litologico) e in particolare nell'area delle Crete di Asciano. Queste rappresentano un esempio caratteristico di argille calanchiformi, in cui l'erosione si esprime con particolare evidenza, ma frequenti sono pure gli spazi coltivati e boschivi.
Il contrastante paesaggio delle Crete emerge evidente nelle pagine di Pio II: la sommità del colle su cui sorge il convento - una sorta di giardino delle delizie, tanto fiorenti sono le colture arboree e arbustive, oltre a fitti boschetti di cipressi la cui ombra offre un sicuro refrigerio d'estate - è circondata da ogni lato da dirupi profondi e orrorifici.

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Una netta contrapposizione fra il paesaggio aspro e desolato delle balze argillose e la feracità dei terreni tufacei più in alto spicca anche nei versi di Torquato Tasso, che visitò Monte Oliveto a metà '500: "Non di pietra, che l'alpe al ferro indura, ma costrutto di tufo e creta molle: là per arte sublime e per natura tra ruine e dirupi al ciel s'estolle" e ancora:

"Ombre vi fa di foglie insieme ordite, e quasi gemme la feconda vite…. Non è dove il terren s'innalzi o inchini, che giammai dei suoi frutti ivi mancando non verdeggi o risplenda, o non s'infiori frondosa oliva entro la chiostra o fuori..".


Tale contrasto nel paesaggio delle Crete, del resto, era già stato osservato da scrittori e agronomi latini come Catone, Varrone, Virgilio, Plinio, Columella.

A partire dalla dotazione iniziale, costituita dal podere di Acona - sul territorio del quale era sorto il convento - e da quello di Melanino, ai primi del XVI secolo il nucleo principale era un blocco pressoché compatto, concentrato nella zona di Chiusure, tutt'attorno all'Abbazia e ai suoi annessi. Di qui le proprietà si irraggiavano nel territorio delle Crete e ai suoi margini, verso Asciano, Petroio, S. Giovanni d'Asso, fino a prolungarsi nel territorio di Montalcino, dove erano stati incorporati i beni dell'abbazia di Quercecchio.
La più tarda fondazione dell'Abbazia di Monte Oliveto rispetto a Sant'Antimo e San Galgano è la causa principale del tipo di conduzione che caratterizza la gestione dei beni fondiari di Monte Oliveto, affidata esclusivamente a contratti di tipo mezzadrile, mentre Sant'Antimo e San Galgano, nei loro primi secoli di vita avevano privilegiato quella diretta ad opera di gruppi di conversi.
Tipologia colturale, tecniche di allevamento del bestiame e contratti di conduzione mezzadrile non si discostano da quelli tipici della regione delle Crete e si ripetono con notevole costanza dal XVI secolo ai primi del XVIII, con un notevole livello di dettaglio sugli obblighi dei mezzadri, peraltro assai pesanti (i contratti dei secoli XIV e XV, sono invece assai più sfumati sotto tale profilo). Il podere veniva per lo più affidato per tre anni, periodo che corrispondeva alla durata media della rotazione nei seminativi migliori. Gli obblighi dei mezzadri erano quelli tipici della mezzadria toscana, ivi comprese le regalie di polli, galline, uova, capponi da fornire al monastero a Natale, Pasqua e altre feste, così come pesanti corvées e imposizioni di prestazioni gratuite d'opera, a perpetuare un regime di stampo feudale, lungo a morire nella grande proprietà fondiaria del Senese.

I dintorni dell'abbazia


Il monastero di Monte Oliveto Maggiore si raggiunge con la SP 451 che si dirama da
Buonconvento, dal quale dista 9 km. Il monumentale complesso sorge nel cuore delle Crete Senesi, nel territorio di Asciano, addossato al poggio di Chiusure, tra la la valle dell'Ombrone e quella dell'Asso, circondato da viali di cipressi. La sosta al Monastero, una vera e propria cittadella della religione, della cultura e dell'arte richiede almeno mezza giornata.
Lasciato il monastero in direzione di Asciano si può raggiungere direttamente Siena per la provinciale 438 che attraversa le Crete oppure dirigersi da Asciano su
Rapolano Terme e di qui su Castelnuovo Berardenga per visitare il Museo del Paesaggio.

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Servizi

L'abbazia di Monte Oliveto è raggiungibile con mezzi pubblici da Asciano. Il grande ex seminario dei Monaci Benedettini Olivetani, attiguo al monastero, è ora adibito a foresteria. L'ospitalità nei dintorni dell'abbazia è concentrata nelle strutture ricettive di Asciano, Buonconvento, Monteroni, che offrono complessivamente soltanto un centinaio di posti letto in hotel. Più dotato invece sotto questo riguardo il centro di Rapolano Terme, 350 letti. Tuttavia il numero delle aziende che praticano l'agriturismo è cresciuto molto ed è possibile trovarle pressoché ovunque. La vicinanza di Siena resta poi un punto di riferimento importante.

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