di Laura Cassi
Questo ipertesto è frutto di una serie di riflessioni, avviate
ormai da diversi anni, sull’opportunità di introdurre la dimensione
culturale nell’analisi dei processi di sviluppo locale, con particolare
riferimento agli spazi deboli, a rischio di ‘colonizzazione’ culturale
in quanto coinvolti in progetti di sviluppo eterocentrati, che non tengono
in sufficiente conto le potenzialità endogene.
Tali riflessioni si basano su due ordini principali di considerazioni:
la valorizzazione del patrimonio culturale non è un surplus che possono permettersi solo
le aree economicamente più avanzate, ma può rappresentare uno degli
obiettivi su cui fondare percorsi di sviluppo sostenibile per molte regioni economicamente
svantaggiate ma ricche di eredità del passato suscettibili di diventare
vere e proprie risorse per il futuro. Inoltre, occorre indagare il legame esistente
tra la popolazione attuale e i valori culturali profondi espressi dal territorio,
ovvero interrogarsi su quali sono le persistenze culturali e sul consenso manifestato
a riguardo dalle diverse componenti della popolazione.
Il presente ipertesto intende dunque rispondere a una doppia esigenza, da un
lato quella di offrire ai visitatori un percorso che si snoda in aree interessanti
ma poco note e dall’altro quella di stimolare nella popolazione locale
processi di consapevolezza e di autoriconoscimento, senza i quali i meccanismi
dello sviluppo locale difficilmente possono essere innescati.
Sull’utilità di tale doppio registro degli itinerari turistico culturali
ci siamo espressi in più occasioni, presentando quelli realizzati per
altre regioni. Da quelli della Fede prodotti in occasione del Giubileo del 2000
a quelli concepiti appositamente per la Toscana, tutti incentrati sulla messa
in valore di aree e aspetti meno conosciuti ma non per questo meno attraenti.
Quello scutarino è dunque il prodotto più recente di una serie,
frutto di esperienze via via più mature sia sul piano logico concettuale
che su quello tecnologico, ponendosi ai livelli più alti – almeno
per quanto riguarda le aree sin qui considerate – della combinazione ricchezza
di patrimonio ambiental-culturale e marginalità.
Nella convinzione che il paesaggio debba occupare il centro della rappresentazione,
quale catalizzatore dell’attenzione, sia come patrimonio di risorse identitarie
da offrire alla popolazione locale sia come elemento di attrazione per i visitatori, è stato
dato ampio rilievo alle descrizioni di Aldo Sestini, il principale esponente
della scuola italiana del paesaggio. Certo il Sestini non aveva concettualizzato
il paesaggio come patrimonio di risorse identitarie, ma ha fornito input utili
per farlo: le sue descrizioni mostrano chiare potenzialità per un’applicazione
moderna del concetto di patrimonio territoriale e forniscono una base utile per
concepire il paesaggio come bene da conservare e valorizzare, attraverso un’attenta
lettura e interpretazione dei processi di accumulazione selettiva che hanno lavorato
nel tempo e delle continue interazioni fra quadri ambientali, dinamiche insediative,
pratiche di vita e di lavoro delle società locali e valori culturali e
simbolici.
Il concetto di paesaggio come risorsa e gli stretti legami fra paesaggio e territorio
possono tuttavia giocare un ruolo importante nelle opportunità di sviluppo
rurale solo se la popolazione locale riesce a mettere in atto opportuni processi
di valorizzazione territoriale. In questo senso, appare fondamentale che i percorsi
di conoscenza del territorio siano rivolti non solo agli outsiders,
ma anche agli insiders. La memoria storica del territorio può rappresentare
il volano dello sviluppo locale e molto può essere fatto per recuperarla,
ad esempio, dando un’adeguata importanza allo scambio di saperi intergenerazionale.
L’Albania è un Paese dalle molte contraddizioni ma dalle notevoli
potenzialità come dimostra, fra gli altri, questo prodotto, in cui, piace
ricordarlo, trovano rinnovato apprezzamento i lavori di alcuni autori italiani
che negli ’30 e ’40 l’hanno percorso esplorando e studiando
con un livello di approfondimento, precisione e dettaglio da lasciare sorpresi,
anche in considerazione delle tecnologie e delle difficoltà di spostamento
di allora, in un paese vincolato da tradizioni ancestrali, ancora immerso in
una tradizionalità arcaica, che il resto del mondo mediterraneo si era
ormai lasciato alle spalle. La riscoperta di ciò che ha costituito una
tappa realmente significativa nel cammino della conoscenza come gli studi del
Baldacci e del Sestini, dagli scritti dei quali traspare una capacità di
osservazione rimasta insuperata, oggi assume sapore di vera e propria innovazione.
Pensando e realizzando questo prodotto, Monica Meini ha coniugato le più valide
riflessioni critiche sullo sviluppo locale con le nuove tecnologie di narrazione
ipertestuale e le metodologie dei sistemi informativi geografici, mostrandosi
pronta a raccogliere l’eredità dei maestri e allo stesso tempo a
indicare strade nuove.