“LA MIRDIZIA E LA REGIONE DEI DUCAGINI
La regione situata entro il grande e irregolare semicerchio che il
F. Drin, compreso un tratto del Drin Nero, descrive verso N, è tutta
quanta montuosa; ma il rilievo, caratterizzato da una larga predominanza
di forme addolcite, e pur ad altezze di parecchie centinaia di metri,
non presenta un chiaro ordinamento in catene o massicci, eccezion
fatta per una fascia occidentale. Esclusa, quindi, quest'ultima,
si potrebbe adottare, per designare complessivamente la regione,
il nome di Altopiano Mirdita (già entrato nella letteratura geografica),
sebbene non si tratti di un vero altopiano, né dovunque sia popolata
dai Mirditi. Questi ne occupano la parte centro-meridionale, essenzialmente
le valli dei due Fandi (Fandi, o Fani, Piccolo e Grande, in albanese
Vogel e Madhe), le quali pertanto costituiscono la vera e propria
Mirdizia, o più correttamente Mirdita (1) .
La parte più settentrionale, lungo il Drin e negli alti bacini dei
due fiumi, è territorio di altre tribù, di cui quella dei Ducagini
(Dukagjini) dà il nome al versante rivolto al fiume maggiore.
I limiti della Mirdizia verso mezzogiorno sono mal segnati, poiché
si passa senza bruschi cambiamenti alla depressione del Mati, riempita
da sedimenti terziari, depressione che si continua anche a N del corso
inferiore dei due Fandi, lungo le valli del Prroni i Dibrit e del
Gjadri, separando l'altopiano da una catena poco elevata, che forma
l'orlatura delle pianure della Bregumatia e della Zadrima.
Questa parte ad ovest della depressione si differenzia assai dal rimanente,
e, come si è detto, non può farsi rientrare nell'Altopiano Mirdita.
La costituzione geologica è variata, alternando strette e lunghe fasce
di terreni diversi, rocce verdi, scisti e calcari triassici, flysch
terziario, anche radiolariti del Giura sul versante esterno. L'orografia
corrisponde invece ben poco a tali varietà ed ordinamento; in sostanza,
consta di una catena (Malsija e Lezhs, cioè montagna di Alessio) con
direzione quasi meridiana, un breve versante marittimo ed una serie
di contrafforti ad oriente e sud-est; le altezze non vanno spesso più
su di 500-600 m. e solo nella parte mediana si erge una montagna ben
distinta (Maja e Velës, m. 1172) sia per la maggiore altezza, sia per
i suoi dirupi calcarei. Il versante rivolto alla pianura è solcato
da molte ripide vallette ed è rivestito da boscaglie ed anche da bosco
d'alto fusto, in cui prevalgono le querce e i frassini; qua e là sono
gruppetti di castagni. Le falde sono coltivate ad oliveti e vigneti
e sparse di abitati. L'altro versante è in massima parte boscoso e
poco abitato. La valle del Gjadri conteneva anch'essa depositi terziari
analoghi a quelli del Mati, ma l'erosione ne ha rispettato solo scarsi
lembi. Il suo largo fondo, tra basse colline, è quasi per intero dominio
delle divagazioni del torrente.
Nella vera Mirdizia e nei Ducagini, il predominio delle rocce eruttive
basiche è assoluto; alternano gabbri, dioriti, anfiboliti, peridotiti
con masse anche più estese di serpentine, derivate dalle precedenti.
Fasce di sedimenti triassici, di facies soprattutto argilloscistosa
e diasprina, intersecano le rocce eruttive, a N e N-W lungo il Drin,
nel prolungamento della depressione del Mati, più di rado all'interno;
questi terreni sono, ad ogni modo, strettamente connessi con le rocce
eruttive, e non influiscono in maniera sensibile sulla morfologia
d'insieme della regione. Verso S-E, invece, si trovano lembi di una
potente coltre di terreni cretacei, posata in trasgressione sulle rocce
verdi; essa introduce nel paesaggio aspetti fortemente diversi, e cioè
altopiani carsificati e rudi montagne calcaree, le cui cime sfiorano
2000 m. d'altitudine.
Tagliate nelle rocce eruttive sono quindi in prevalenza le forme addolcite
che abbiam detto caratterizzare, nell'insieme, il passaggio mirdita:
ampie ondulazioni in ogni senso, con vallecole appena incavate, dossi
e monti cupoliformi solcati da valloni non profondi, qualche tratto
quasi totalmente spianato. Sembra che queste forme possano raggrupparsi
in due livelli (Nowack), l'uno verso 800 m., l'altro verso 1400, sebbene
tale distinzione risulti qualche volta difficile, poiché non di rado
il passaggio è graduale.
Queste vecchie superficie sono però suddivise in un gran numero di
lembi di varia estensione, per mezzo di valli anche notevolmente profonde,
sempre piuttosto strette, prive di un fondo più ampio dell'alveo del
torrente o del fiume che le percorre. Dobbiamo però distinguere tra
le valli che affluiscono direttamente al Drin, verso N e N-E, e quelle
che mandano le loro acque, con i due Fandi, al Mati, oppure al Gomsiqa
e al Gjadri. Nelle prime, più brevi, anzi quasi tutte molto brevi e
indipendenti l'una dall'altra, l'erosione è stata ed è tuttora più
intensa; il Drin scorre molto in basso, nella sua profonda gola, e
i tributari di sinistra hanno quindi forte inclinazione. Le valli sono,
il più spesso, profondi solchi con fianchi ripidi e talvolta addirittura
aspre gole; affioramenti di scisti triassici e più specialmente di
flysch terziario nonché la profonda disgregazione delle rocce eruttive,
provocano qua e là minute incisioni franose. Invece verso N-E le vecchie
superficie si spianano ad un'altezza di soli 500-600 m., e quindi le
valli che tendono al Drin vi sono meno approfondite, in accordo anche
alla minore incisione operata dal Drin in questo tratto (fra Krye Madhe
e Dardha). Anzi, come lo stesso Drin, taluno di questi affluenti è
accompagnato da terrazze alluvionali. Solo la parte superiore del Seriqa
è profondamente chiusa tra ripidi fianchi boscosi, e il torrente s'addentra
molto nelle montagne, le cui cime si profilano fra 1300 e 1400 m.
Le valli del versante meridionale (bacino dei Fandi) sono raramente
molto aspre, anche quando i loro versanti s'innalzano ripidi a parecchie
centinaia di metri sull'alveo: le loro forme sono una monotona ripetizione
di fianchi diritti, di piccoli imbuti torrentizi e di sproni. Qua e
là presentano, su tratti brevi e disgiunti, qualche ampliamento del
fondo, terrazze alluvionali, e, più spesso, terrazze orografiche.
Il Grande Fandi e qualche altro corso si avvolgono in ripetute tortuosità,
che sono veri meandri incastrati.
I dossi tra l'una e l'altra di queste valli conservano larghi resti
dell'antica superficie, e pur quando le valli sono molto ravvicinate,
quasi sempre ne rimane almeno la traccia nell'uniforme profilazione
del crinale interposto. Il paesaggio è quindi monotono. Ad O, a ridosso
della depressione Prroni i Dibrit-Gjadri, superficie semispianate stanno
a soli 400-600 m. d'altezza e sembrano anzi connettersi con i depositi
terziari del Mati (arenarie e conglomerati rossastri, con elementi
quarzosi e tracce di lignite), dei quali sono qui rimasti alcuni lembi,
posati sulle rocce eruttive o sugli scisti triassici. Procedendo verso
oriente, l'altezza delle superficie ondulate aumenta a 800-1000 m.;
da esse si sollevano poi di alcune centinaia di metri, ora quasi gradatamente,
ora con un fianco a profilo concavo ma di pendenza moderata, rilievi
compatti, la cui parte culminante si spiana o si addolcisce di nuovo
in molli ondulazioni. Uno di questi si trova già ad ovest del Grande
Fandi, con sommità spianate a 1350-1400 m., massimo 1460; glimanca
un nome d'insieme, anche se le carte lo indicano generalmente con quello
di Bjeshka e Tërbunit, proprio soltanto della parte settentrionale.
Un'altra serie di analoghi rilievi forma corona all'alto bacino del
Grande Fandi e lo separa dal Drin, col Mali i Krrabi (m. 1680), il
Kunora e Dardhës (m. 1584), la Maja e Malit (m. 1687), la Maja e Rroshit
(m. 1397) ed altre cime secondarie. Infine all'origine del Piccolo
Fandi, si levano la Maja e Runës (m. 1857) e la Maja e Madhe (la cui
cima è però formata da calcari, m. 1680). Qui, in taluni tratti, le
forme sono più decise, perché più profonde sono le valli d'attorno,
e ridotte quasi soltanto all'uniforme profilazione degli speroni le
superficie vecchie, a 900-1000 m. di altezza. Ma attorno alla valle
del Piccolo Fandi, si ergono pure, come si è detto, montagne ed altopiani
calcarei, la cui morfologia a tratti più rudi, siano essi dati da prevalenza
di linee orizzontali o verticali, contrasta con quella flessuosa ed
uniforme dell'ampia zona di rocce eruttive.
Molta uniformità, questa zona a rocce verdi, presenta anche nei riguardi
del paesaggio vegetale ed umano. I boschi occupano grandi estensioni
sulle cupole elevate e in genere nella parte orientale del paese: sono
boschi di faggi (talora misti ad abeti) e di pini, questi ultimi particolarmente
dove il suolo è più magro ed arido, cioè sui versanti più soleggiati.
Più in basso, sui fianchi delle valli, prevalgono invece boscaglie
di querce, ed è frequente un arbusto caratteristico, la Forsythia
europaea (alban. «boster»), specie accantonata nell'Albania settentrionale
e che trova le sue congeneri solo nell'estremo Oriente asiatico. Nelle
colline di N-E, verso il Drin, sono frequenti i castagni.
In generale più nude sono le valli verso occidente, specie verso il
basso Drin (Gomsiqa e Gjadri). Col rivestimento boschivo delle montagne
fanno poi un contrasto dei più vivi certi tratti di terreno nudo e
riarso, in ispecie sulle dioriti, sfatte in detrito minuto, e sugli
scisti diasprini; tratti di vero deserto rossiccio e franoso, bruciato
dal sole, rigato da innumerevoli piccoli solchi, tipico quello dei
dintorni di Puka. Purtroppo quando il magro terreno derivante dallo
sfacelo delle rocce verdi e degli scisti sia denudato del suo protettore
manto boschivo, viene dilavato e isterilito con la più grande rapidità.
Alla denudazione dei versanti vallivi concorrono i pastori, che nell'autunno
sfrondano le querce, per l'alimentazione invernale del bestiame. Comunque
i boschi della Mirdizia (nei quali si trova tuttora l'orso) costituiscono
una cospicua ricchezza forestale, pressoché negletta dalla popolazione:
essa si limita a fare carbone, ed a raccogliere un po' di resina di
conifere e lo scotano, che abbonda e viene portato ad Alessio o a Scutari.
Le colture occupano ben poco spazio, e formano piccole oasi saltuarie
di campicelli di mais talvolta terrazzati, circondati spesso da siepi
e staccionate, in mezzo al bosco o al terreno nudo; vi si conduce
l'acqua per l'irrigazione, per mezzo di condutture molto primitive,
benché talora lunghissime. Viti ed alberi da frutto si limitano alle
vicinanze delle abitazioni. Queste non si riuniscono mai in villaggi,
nella vera Mirdizia; molto spesso sono isolate, altre volte ravvicinate
in piccolissimi gruppi, sui fianchi delle valli, di regola a non più
di 1000 m. d'altitudine. La kula o casa fortificata, è frequente
in questo paese dove la vendetta infieriva. Anche le chiese sono isolate,
e spesso occupano un'eminenza del terreno. Le comunicazioni sono difficili
in tutto il paese, perché i sentieri, non curati, sono pessimi, franosi;
ma ciò ha contribuito a mantenere queste popolazioni in uno stato d'indipendenza
pressoché totale durante il periodo turco.
Ad E, come si è detto, s'innalzano montagne calcaree, le quali formano
in parte lo spartiacque tra il bacino del Mati e quello del Drin Nero.
La più caratteristica di queste montagne è la Munella (m. 1995), un
blocco compatto ed isolato di calcari e conglomerati del sopracretacico,
residuo di una più estesa copertura. Si solleva imponente, con alte
e bianche pareti, sopra un ripiano, sul quale crescono belle faggete.
La troncatura di sommità è un orribile groviglio di buche carsiche
e di scogli.
Ad oriente della Munella, passato il Piccolo Fandi, si solleva a 1992
m. la Mala e Zebës (o Zepès), anch'essa formata da calcari stratificati
della Creta superiore (il mantello calcareo sulle rocce verdi ha qui
una potenza di un migliaio di metri). La cima della montagna è una
grossa cupola a dolci pendenze, troncata però in varie direzioni da
balze rocciose, in cui si infossano le testate di valloni, un tempo
occupate da piccoli ghiacciai. Più sotto, i fianchi si ammantano di
pinete e faggete.
Più a sud, il mantello calcareo, sopra lo zoccolo di rocce eruttive
variamente sollevato, forma due tipici altopiani carsici fra loro
congiunti; il primo è piccolo ma molto elevato, culminando nel Gur'
i Nusës (m. 1868), l'altro offre un'ampia superficie confusamente ondulata
tra 1300 e 1500 m. È chiamato Mal' i Shentit (Mal’ i Shenjit), cioè
Monte Santo e vi sorgeva anticamente l'abbazia di S. Alessandro, ora
ricostruita ad Oroshi in una valle sottostante. Alte scarpate e pareti
a picco delimitano i due altopiani, sia verso la valle del Piccolo
Fandi (che si affossa di oltre 1000 m.), sia verso il torrente Uraka
suo tributario, e il Molla, affluente del Drin. Il Monte Santo è in
buona parte ammantato da bosco d'alto fusto, di pini e di faggi; è
privo di abitazioni permanenti, mentre relativamente ben popolate sono
le valli che lo circondano. Nelle radure, qualche pascolo offre alimento
nell'estate ai greggi di Oroshi, il capoluogo della Mirdizia. Verso
mezzogiorno succedono ancora altri altopiani calcarei; ma essi dominano
già la depressione del Mati e saranno perciò descritti nel capitolo
successivo.
Se teniamo presente l'insieme della regione, è certo che questa è una
delle meno popolate dell'Albania. A qualche valle ricca di casolari
(peraltro quasi sempre miseri tuguri) e forse anche sovrapopolata
in rapporto alle scarse risorse locali, si contrappongono vaste superficie
disabitate boschive, o anche del tutto nude, in ispecie nella parte
occidentale. La densità media della Mirdizia e dei Ducagini è appena
di una ventina di ab. per kmq. Si è già rilevato come l'insediamento
sia sparso, quasi senza eccezione. Anche qui, come nelle montagne
settentrionali e come nella Matja, manca non solo una città, ma un
borgo o un vero villaggio. Lo stesso Oroshi è un complesso di case
isolate e distanziate tra poggi e vallette, fra 400 e 700 m. d'altitudine.
La notorietà gli deriva dall'esser sede delle due massime, e fino a
poco tempo fa anche le sole, autorità riconosciute dai Mirditi: il
loro kapidan, oprincipe, carica tradizionale della famiglia
Gjion Marka, circondato di grandissima autorità e alto prestigio, e
l'abate mitrato, il quale dipende direttamente dal Vaticano (dal 1888)
ed ha sotto di sé 16 parrocchie. L'abbazia (S. Alessandro) isolata
sopra una terrazza dominante una piccola conca, è a 519 m. d'altitudine.
Gli uffici della sottoprefettura dei Mirditi si trovano invece in una
casupola, pure isolata, nel luogo detto Sh' Pal (San Paolo) di Blinishti.
I Mirditi si calcolano in circa 22.000 anime e sono costituiti dalle
cinque «bandiere» Oroshi, Spaçi, Fani, Kushneni e Dibri. Tutti sono
cattolici e molto attaccati alla loro fede, fieri della loro indipendenza,
che i Turchi non riuscirono mai a piegare, sebbene nel 1877 pervenissero
a devastare anche la casa forte del kapidan. Cattolici, in parte, sono
anche i Ducagini, sul versante del Drin. Ma a N-W alternano villaggi
cattolici e musulmani o misti, cosicché nella sottoprefettura di Puka
i maomettani formano più del 40% della popolazione. Cattolica è la
popolazione della montagna di Alessio.
La popolazione della Mirdizia e dei Ducagini è povera, spesso anche
denutrita; il suolo è ingrato, e del resto ci si limita a coltivare
il più stretto necessario per vivere. In molti luoghi, però, il suolo
adatto alle colture è veramente scarso, in altri manca l'acqua necessaria
all'irrigazione estiva. La coltura più importante è quella del mais,
cui si aggiungono un po' di fagioli, di tabacco, di ortaggi, di uva,
di frutta (ciliegie, susine, noci). Trascurato è l'allevamento dei
bovini. Oltre ai prodotti dei boschi (carbone, resina, scotano) gli
abitanti scambiano nei mercati della pianura (Scutari e Alessio) agnelli,
lana, pelli. Nel passato si verificava una discreta emigrazione verso
la conca della Metochìa; ma i Mirditi scendevano anche nella Bregumatia
e nella Zadrima a compiervi razzie di bestiame.
Attraverso l'altopiano passa la via mulattiera da Scutari a Kuksi,
e quindi a Prizreni ed al Cossovo (con diramazione per Giacova). Prima
della costruzione delle ferrovie balcaniche, nell'ultimo quarto del
secolo scorso, era questa una via frequentatissima, per la quale passavano
largamente gli scambi commerciali tra l'Occidente e l'Europa turca.
Col decadere di questo traffico, anche la via fu trascurata e si ridusse
in molti punti ad un sentiero pericoloso, mal transitabile per le bestie
da soma. La strada percorre da prima la valle del Gomsiqa, sale sull'altopiano
di Puka, e ridiscende poi nella valle del Grande Fandi. Segue da presso
il fiume, fino ad un valico, Qafa e Malit (m. 935), per divallare quindi
lungo il torrente Goska e Madhe e raggiungere il Drin a Vau Spas. Qui
un importante traghetto dà accesso al territorio di Kruma e alla Metochìa;
la strada per Prizreni risale invece la sponda sinistra del Drin fino
a Kuksi.
Oggi, però, una strada rotabile attraversa l'intero altopiano, passando
per Puka (piccolo gruppo di case con gli uffici della sottoprefettura),
con un percorso non molto dissimile dalla vecchia mulattiera fino all'alto
Fandi. Già esisteva al momento dell'intervento italiano il tronco fino
a Puka, il rimanente è stato compiuto in seguito, in brevissimo tempo.
La strada renderà possibile anche l'inizio di un razionale sfruttamento
della ricchezza forestale; ancora altre ricchezze saranno valorizzate
sull'altopiano mirdita; cioè quelle minerarie (vene e impregnazioni
lenticolari di pirite, spesso associate a minerali di rame, nelle rocce
eruttive o negli scisti). Ma questa strada avrà anche maggiore importanza
per il trasporto dei minerali di ferro e di cromo delle regioni di
Kruma e di Kuksi, e più ancora come via d'accesso alle nuove province
nord orientali.
Una seconda rotabile, costruita già da alcuni anni, penetra nella valle
inferiore del Fandi, partendo da Miloti, per allacciarsi a Burreli
con quella proveniente da Croia. Essa serve, tra l'altro, le miniere
cuprifere di Rrubigu, aperte nei terreni della catena della Maja e
Velës.”
1) Mirdizia, nome tradizionale italiano, è come dire paese dei Mirditi. Ma, secondo l'Ippen, questi hanno preso il nome del paese, Mirdita, e non viceversa. Il nome Mirdita (del quale sono state proposte varie e più o meno fantastiche etimologie) compare piuttosto tardi, verso la fine del secolo XVII.