“Appena ritirato il bagaglio dalla dogana, prendemmo a salire
verso il Tarabosh, la montagna che domina Scutari e che doveva poi diventare
così celebre nell'assedio della città durante la guerra
balcanica.
Il Tarabosh è la sezione scutarina della lunga catena che, partendo
dal Sutorman (dove si congiungono i due principali rilievi della Tsrmnitsa),
costituisce l'ossatura principale che divide il mare dal lago di
Scutari e raggiunge il suo massimo sviluppo nel gruppo della Rumija (1593
m.), donde si stacca asud-ovest il massiccio piramidale del Lisin (1380
m.). Tra la cresta della catena e il lago di Scutari si apre il
sistema orografico dedalico detto della Crajina, che è, senza
dubbio, la più accidentata regione del Montenegro: il Tarabosh
fa parte di questa regione ed anzi, più propriamente, le dà il
nome, perché la sua catena è conosciuta in senso lato dagli
indigeni dei villaggi per Mali Crais (monte di Crajina) intendendosi
per Tarabosh la quota a 570 m., sulla quale vennero più tardi
costrutti nel 1909 e 1910 dagli Albanesi musulmani di Scutari i forti
avanzati verso il Montenegro per la difesa del capoluogo del vilajet.
Il ponte sulla Bojana è stato rovinato dall'ultima piena e dobbiamo
quindi passare il fiume con le lontre (le classiche barche del
lago di Scutari), tendendo al villaggio zingaresco, situato sulla sua
destra. I sobborghi degli Zingari sono sempre appartati dal resto dell'abitato
in ogni centro balcanico e Scutari non sfugge alla regola. Meglio che
un quartiere, gli Zingari hanno un vasto e lurido agglomeramento di catapecchie
e di capanne, con qualche casetta che vuole apparire linda di fuori,
ma che è sporca di dentro. Eppure, quante fresche, sebbene lacere
beltà nel quartiere zingaro!
Passiamo in fretta quel povero gruppo di casupole e cominciamo verso
mezzogiorno ad inerpicarci su per il monte. Tutto il piano intorno a
Scutari era allagato e lo specchio d'acqua d'inondazione si stendeva
per molti chilometri in direzione di Vraca. Questa abbondanza d'acqua
mitiga il caldo che produce la salita per le erte schiene nude del Tarabosh,
il cui substrato calcareo, quasi nudo, comincia ad essere abbruciato
dal sole, e mostra soltanto: Chamaepeuce afra in bottone, Onopordon
illyricum, Carduus candicans, Vebascum sp. con macchie dell'elegante Marsdenia
erecta. Quasi dappertutto regnano la Salvia officinalis e
la Philomis lanata.
Dopo due ore di salita faticosa saltando tra i karren che ostacolano
l'avanzata quasi in ogni senso, giungiamo in alto verso le due pomeridiane,
incontrando alcuni strati di terreno schistoso con traccie di mica; ma
la vegetazione è qui ancor più ridotta che nel calcare.
Da uno di questi strati sgorga una sorgente, protetta da un salice,
che segna 13°. Facciamo una breve sosta e sappiamo da un pastore
che presso questa sorgente, anni addietro, venne ucciso da fanatici musulmani
un prete cattolico. Più innanzi troviamo un piccolo gruppetto
di pastori che vogliono vedere i nostri barometri, termometri, podometri
e bussole: tutti questi strumenti diventano orologi. Hassert ha preso
gusto già alla dogana di Medua a sostenere che ogni strumento
che porta con sé è un orologio. Non abbiamo rimorso ad
ingannare questa povera mentalità albanese perché, anche
volendo, ci riuscirebbe impossibile fare delle dimostrazioni sull'impiego
dei nostri strumenti. L'uso del mio vascolo soltanto viene compreso;
ma non si capisce bene perché io raccolga le erbe. I più evoluti
sostengono che le erbe devono essere medicine; gli altri vogliono che
da queste erbe si estragga oro facendo bollire le radici. La cosa non
mi è nuova.
Nelle rupi più alte di questa cima del Tarabosh si abbarbica l’Hedera
Helix nel suo diformismo di pianta sterile e di pianta fertile e
tra l'edera stenta qualche fico selvatico. Questa curiosa associazione
nel calcare compatto è caratteristica assai. A distanza, si ergono
alcune Celtis australis. La vegetazione erbacea è data
da Erysimum sp., Onosma stellulatum, Scrophularia laciniata,
Phlomis lanata, Brachypodium distachyon, che resistono in mezzo
alla salvia invadente.
Scendiamo a S. Rocco o Sciroca sulla sponda del lago. Il panorama è bello
e ampio e comprende tutta la regione tra nord, est e sud del bacino del
lago; ossia il Montenegro tra Podgoritsa, la Zeta, i Piperi e i Cuci
e l'Alpe albanese meridionale tra il Mali Hotit e i Mirditi. Nei
pressi del villaggio, dove l'humus è fresco e riparato
dai muri, vi sono aree prative con folta vegetazione, tra cui noto, con Trifolium e Vicia, l'Orlaya
grandiflora, comunissima. La Punica Granatum [melograno] è frequente
e consociata con la Clematis Flammula. Sulla riva vegeta il Vitex
Agnus Castus, nei comuni boschetti che s'incontrano frequentemente
lungo la regione del lago, In un'ora circa rientriamo in città.”