Lo scrittore austriaco Joseph Roth deve molta della sua notorietà ad un romanzo in particolare, la Marcia di Radetzky, apparso nel 1932: un’opera emblematica attraverso la quale l’autore porta a compimento un realistico e commovente affresco del declino dell’impero asburgico. Nato nella parte orientale di questo impero nel 1894, morì in esilio a Parigi nel 1939, dopo avere sperimentato la prigionia russa durante la prima guerra mondiale, avere osservato con occhio disincantato e limpido anche se nostalgico il tramonto del mondo asburgico ed avere lasciato un’Austria che si era annessa alla Germania nazista. All’inizio degli anni Venti, Joseph Roth iniziò ad occuparsi di giornalismo ed ebbe modo di viaggiare in largo e in lungo per l’Europa. Durante il suo soggiorno nell’Est egli registrò a più riprese le sue impressioni in una serie di eccellenti servizi. Nei suoi occhi di ex-suddito dello smembrato impero austro-ungarico, quell’ex-provincia dello smembrato impero ottomano che rappresentava l’Albania nel 1927, all’epoca del suo viaggio, non poteva sembrare che il relitto di un grande naufragio, un paese ancora molto turco e poco europeo.